A Isernia
l’Orchestra Tartini diretta da Fernando Raucci
Onore a Lutero e a… Farinacci.
Che musica in chiesa!
Eseguite
composizioni di Vaughan Williams, Strauss, Brahms, Mendelssohn e Williams
Riesce quasi sempre a sorprenderci,
il vescovo Andrea Gemma. Qualche anno fa, non molto tempo dopo aver
solennemente vietato l’esecuzione in chiesa di musica men che sacra, ci fece il
graditissimo regalo di ospitare in cattedrale una poderosa orchestra russa alle
prese nientemeno che con l’ouverture del Tannhäuser. Direte voi, con
Baudelaire: era la prima versione, non quella parigina del 1861 con la
Venusberg Musik. Verissimo, di certe wagneriane creazioni (pardon:
invenzioni) le sacre soglie tollerarono il passaggio del solo canto di lode a
Venere (mica male), non anche del venereo monte. Ma il pensiero corre, si sa. E
corse. Sublimi contraddizioni.
La magia di quella sera
non si è ripetuta sabato 4 giugno. Al concerto che ha visto impegnata in
cattedrale l’Orchestra “Giuseppe Tartini” sotto la direzione di Fernando Raucci
è mancato l’ingrediente, essenziale, della coinvolgente esecuzione musicale, ma
quelli disponibili si sono rivelati sufficienti a stordire le menti più
sensibili. Un esempio: una serata titolata “Festa del Papa in concerto”, in
memoriam Ioannis Pauli II, ha come momento culminante la seconda delle
sinfonie di Mendelssohn, titolata sinfonia della Riforma per celebrare
il tricentenario della Confessio Augustana (1830), col suo austero procedere e
i suoi luterani corali (oltre – certamente – al “pontiere” Amen di Dresda, che
il sommo Richard utilizzerà mezzo secolo più tardi come tema del Graal nel Parsifal).
Altro che confutatio!
Al solito,
approssimazione e contraddittorietà nel libretto di sala. Incertezza, tra
l’altro, sulla denominazione dell’orchestra invitata: sinfonica in
frontespizio, “Orchestra da camera ‘G. Tartini’ della Provincia di
Latina” all’interno.
Monsignor Gemma, come
sempre, ha introdotto i presenti alla serata musicale, prevista in origine per
l’inizio di aprile ma saltata a causa del decesso del papa. Alcune sintetiche
considerazioni di circostanza e un auspicio: la formazione di un’orchestra
anche a Isernia. Oddio! È un auspicio senza dubbio nobile. Ma, suo malgrado,
troppo in sintonia col clima di devolution porchereccia e – ahinoi –
bipartisan che ormai da qualche anno sta sfigurando, svilendo e svalutando
forse irrimediabilmente il nostro paese (intendo l’Italia). Perdoni, il
monsignore: ma con quali soggetti? E contenuti? E, soprattutto, qualità? Massù,
ne basta e ne avanza una, di orchestra locale. E chi dovrebbe dirigerla?
Raucci? Immagino e spero ambisca a ben altro. E poi – non riesco a non
chiedermelo –: ma Raucci non ha proprio accesso al podio di quella
campobassana? Insomma, sbaglio o la proposta-auspicio rivolta da Gemma ai
potentucoli locali di rinunciare a qualche chilometro di asfalto per pagare
un’orchestra isernina rappresenta una presa d’atto definitiva di tale
inaccessibilità?
Il vescovo ha ceduto
quindi la parola al rappresentante del Comune, co-organizzatore della serata.
L’assessore alla cultura Giovancarmine Mancini non ha mancato di deplorare il
rifiuto dell’ateneo molisano a concedere la propria aula magna per la
manifestazione. È noto, la locale università è molto più sensibile all’esigenza
spasmodicamente avvertita dalla popolazione isernina di veder trasformati
vicoli e stradine del centro storico in mega-orinatoi in occasione di ben
disorganizzati concerti di piazza. Ma l’esponente di An non si è fermato qui.
Comiziesco alquanto (in chiesa, signora mia!), ridondante nello stile e
soprattutto nei contenuti, Giovancarmine non avrà raggiunto quota 125 milioni
(diamogli tempo), ma due o tre non se le è (non ce le ha) negate, su tutte la
celebrazione-esaltazione del «grande politico» isernino (di nascita, tutto qui,
ed è già troppo) Farinacci Roberto, classe 1892, gerarca fascista estremista,
disinvolto e antisemita (e meno male, signora, che eravamo al 4 di giugno del
2005 e non al 28 di aprile: sai le lacrime, a sessant’anni dalla fucilazione!
Come dice? Uno come Farinacci non avrebbe votato leggi salva-Previti e simili?
Mah, cosa vuole che le dica? Lei m’insegna: al peggio…). Sarà durato anche meno
ma è parso lungo mezz’ora, il comizietto, con sullo sfondo le camicie nere
degli orchestrali di Littoria (pardon: Latina) schierati a falange
(signora, mi perdoni: come si chiamano i membri di un’orchestra da camera?
Oddio, camerati?!? E il direttore? No no, lasci stare).
Spietata,
però, è scattata la legge del contrappasso, in veste di strumento musicale. Per
cominciare, la perfida Albione: la pallosissima musica inglese delle Cinque
variazioni su “Dives and Lazarus” di Ralph Vaughan Williams che hanno aperto
il concerto avrà spossato anche Mancini, I suppose; ancora, fra le musiche
eseguite c’era quella di un compositore ebreo, il suddetto Felix Mendelssohn
Bartholdy (sulle ascendenze degli altri sono in corso accertamenti); infine,
come primo bis è stato eseguito un brano di John Williams per la colonna sonora
di Schindler’s list, scelta il cui merito va riconosciuto senza dubbio a
Fernando Raucci e al primo violino della Tartini, anche se più consona a una
serata con certi presupposti sarebbe stata forse la musica di Nino Rota per Amarcord.
Il tutto solo assai marginalmente contrastato dalla presenza di Richard
Strauss, gracile appiglio ideologico peraltro.
Allora, se vano era
cercare in motivazioni religiose o politiche un leitmotiv per la serata
musicale, ne restava una sola accettabile: l’omaggio al direttore d’orchestra
Fernando Raucci e il rispetto per le sue scelte artistiche. Ed è quanto gli
organizzatori hanno dichiarato di avere inteso fare.
Non altrettale è parsa
però la risposta dell’artista isernino. Come si fa a presentarsi davanti a un
pubblico sia pur non competentissimo con un insieme di orchestrali che sembrano
averti incontrato cinque minuti prima per caso? Mancanza di tempo per le prove?
Mancanza di disponibilità di altri complessi? Mancanza di un ruolo e di uno
spazio propri nelle decisioni? Beh, un professionista che accetta di farsi
celebrare deve anche sapersi imporre, fino al punto di rifiutarsi di dirigere
in simili condizioni. Un’esecuzione come quella delle Variazioni su un tema
di Haydn op. 56a di Johannes Brahms è da dimenticare, ma non sarà facile. Certo,
l’orchestra è quello che è (a proposito, a chi è venuta l’idea?). Ognuno per
conto suo, strumentisti che ignorano il gesto del maestro o lo anticipano,
scordature. Imbarazzante e da brividi. Ma, considerato che dell'esito finale è
pur sempre responsabile il maestro, se questi non è in grado di esercitare
alcuna influenza o non si riconosce in quel che si sta per proporre al pubblico
può e deve rifiutarsi di farlo, non ci sono alternative. Specie se si è
dimostrato in altre occasioni di avere delle qualità. Persino il concerto di
qualche anno fa con l’orchestra di ragazzini americani andò meglio. Preferibile
di gran lunga sarebbe stata la scelta di proporre una registrazione video di
altro concerto. Ma anche diffondere una registrazione audio andava bene, magari
con Raucci rivolto non di spalle al pubblico a mimare la direzione. E non sto
scherzando. Se nelle tasche restano pochi spiccioli dopo aver privilegiato
altri capitoli di bilancio o dopo essersi alacremente dedicati a campagne
anti-procreazione assistita (ah, pover’ottopermille)…
Fra gli aspetti positivi
della serata anzitutto la scelta di un programma non “facilissimo”. Altri
avrebbero forse optato per l’Italiana fra le sinfonie mendelssohniane o
per la brahmsiana Ouverture accademica, magari in onore della cortese
università. Raucci è stato invece in grado di manifestare altre buone
intenzioni, rimaste tali e tuttavia avvertibili (rectius: intuibili)
nell’impostazione, teorica, data alla sinfonia. La scelta indubbiamente più
significativa e interessante è stato proporre tre Lieder di Richard Strauss, Morgen
op. 27 n. 4, Wiegenlied op. 41 n. 1 e Zueignung op. 10 n. 1
(quest’ultimo riascoltato al termine come secondo bis), eseguiti dal
mezzosoprano Dionisia Di Vico (buona la sua prova vocale, pronuncia tedesca
forse migliorabile), una scelta che si è tradotta nella parte migliore del
concerto e che ci ha rivelato piacevolmente l’apertura del direttore isernino a
un compositore che gli si supponeva estraneo e soprattutto una certa sintonia.
Certo, a ben altre prove lo attende il grande bavarese, e con strumenti di ben
altra dimensione. Siamo qui ad attenderlo anche noi. Chissà, magari per i
prossimi littoriali.
Beckmesser